Vi ho registrato la Holy così chi non può leggerla se l’ascolta, scusate ci sono un sacco di errori, le prossime saranno migliori. Ah non è gruppo elettronico ma elettrogeno. In lettura sono 10 minuti, non temete.
Cucciole del mio cuore, come state?
La Super Santa torna dopo tre settimane, sarà forse questa la frequenza con cui invierà le newsletter sante? Non lo so ancora, perché l’indecisione è un’arma di distruzione di massa o un modo di vivere la vita più lentamente. Dipende dai punti di vista, la medaglia si gira e cangia.
Vi ringrazio per aver risposto al questionario della scorsa Holy, mi sembra di capire che oltre al reportage delle feste vi interessi sapere la percentuale di persone interessanti con cui fornicare durante queste feste. Sono orgogliosa di voi, cucciole, che unite l’utile al dilettevole, il sacro al profano, ma anche l’inutile allo spiacevole, come diceva il glorioso scrittore russo Veneditkt Erofeev. Volete leggermi quando capita, siete disposte a pagare una tantum, non ve ne frega niente delle analisi spirituali, schifate le benedizioni delle AI (per questa ho sofferto molto), bevete.
Cucciole, da chi dovete farvi vergognare? (cit.)
Vi amo tantissimo e grazie per avermi scritto frasi come queste:
Voglio il tuo punto di vista sempre perché è largo come un fish eye e X-ray come Marie Curie, altrimenti tutto il cibo sulla tavola non ha sapore
Perdonami SuperSanta, a me piaci perché mi piaci. E fammi la grazia: un bel cazzo bello bello. Tua devota
La Chiesa di San Michele
L’altro giorno sono andata a visitare la chiesa di San Michele in via Ospedale a Cagliari, una chiesa barocca di marmi neri, rossi, rosa, un tripudio gesuita di cuori trafitti della Compagnia di Gesù. A me i gesuiti fanno paura, non ci posso fare niente, la compagnia è stata fondata da giovani istruiti e di buona famiglia che hanno lasciato tutto per andare a predicare in terra santa e hanno poi fatto voto di obbedienza al papa. Ossessionati dalla figura di Maria, protetti dall’arcangelo capo delle schiere celesti, San Michele. I gesuiti non cangiano, una tesi che non voglio dimostrare.
Però a me San Michele piace, una volta mi ero innamorata di lui, stava a Orsara di Puglia, una statua succosa, infragilita e possente. Gli avevo dedicato una poesia:
La chiesa di San Michele a Cagliari è aperta grazie al volontariato di donne splendide come la signora Maria, che a fine guida mi ha regalato l’immaginetta degli arcangeli per proteggermi e farmi maritare (non sapeva fossi single, si vede così tanto?). Io le ho regalato quella di Santa Rosalia, era felice, mi ha detto dove stava la chiesa a lei dedicata, lo so, le ho risposto, la conosco, la chiesa vicina al commando dell’Esercito.
Esercito, gesuiti, San Michele e nel mezzo la Santuzza col capo fiorito.
L’Acchianata al Monte Pellegrino
Nella scorsa Holy vi ho raccontato dei festeggiamenti in onore di Santa Rosalia a Palermo, divisi in due periodi dell’anno, il Festino di luglio e l’acchianata al Monte Pellegrino a settembre, dove la santa romita (eremita) si rifugiò e morì.
Sul Monte, a 600m sul livello del mare, nella grotta dove sono stati trovati i resti della santa, hanno costruito il santuario, con tanto di altari, statue dorate e un sistema di canalette per far scorrere l’acqua che a vederlo sembrava un’architettura cyberpunk o un aereo scoppiato come ha detto Maura, la ragazza madrilena che era assieme a me quando siamo entrate.
Ma facciamo un passo indietro.
Durante il Festino di luglio, ho conosciuto Carmela, una ragazza pugliese trapiantata a Palermo da 10 anni. Abbiamo la stessa passione per le sante, le processioni, gli oggetti sacri, e pure la stessa età. In quella occasione ci siamo promesse di rivederci per salire al Monte durante i festeggiamenti di settembre e di portare lo spettacolo della Super Santa nel suo splendido locale.
È andata esattamente come ci eravamo promesse e il 2 settembre sera sono arrivata in città, Carmela mi aspettava a casa, Palermo è una città che conosco. Attraverso la Vucciria e avverto il quartiere della mia presenza, da dove arrivi? Mi gridano. Dalla Sardegna. Sorridono, sorrido, ci facciamo il gesto col pollice e l’occhiolino. Le isole maggiori si vogliono molto bene e si rispettano.
La Vucciria è un quartiere storico, un tempo c’era un mercato del pesce, è rimasto qualcosa ma poco, il pesce ha lasciato il posto ai locali, ma soprattutto al REGGAETON!
Reggaeton da sud e da nord, da ovest e da est, si incrociano i ritmi in un vortice sincopato e discontinuo, c’è da dire che per fortuna la playlist è sempre la stessa e come una clessidra quando riattacca Bomba un movimento sexy sai che sono passate due ore. Carmela in questo delinquenziale sound ci abita, mi spiega che inizia alle 20 e va avanti sino alle 5 del mattino.
In questo quadro di donne quarantenni che si conoscono per le sante, despacite per il caldo, che decidono di piazzare uno spettacolo e subito dopo di invitare il pubblico a percorrere con loro gli infiniti tornanti in piena notte, ho avuto la brillante idea di aggiungerci le registrazioni di tutta la scalata in previsione del podcast.
Quindi è andata così, ho fatto la Holy Lesson N1, la più sudata di tutte, sembravo una milza fritta nello strutto, la scritta holy disciolta sulle tette. Il pubblico entusiasta e io molto emozionata che abbracciavo e ringraziavo. Un gruppo di temerarie e temerari sono rimasti con noi e dopo esserci rifocillate ci siamo avvicinate alle pendici del Monte.
La folla andava e tornava dal santuario, a piedi o in pullman, si inerpicava lungo le pareti come puntini di luce. La statua di Santa Rosalia all’ingresso troneggiava baldanzosa, ho chiesto ai ragazzi che la circondavano, di una confraternita di cui non ricordo il nome, quando la dovessero portare su. La statua su non ci va, a mezzanotte ritorna in chiesa. Questa è una prova di forza di corpi e di monti, di spirito e di altezze, non ci sono statue e rappresentazioni, ci sei tu e le tue gambe.
Noi eravamo una decina, ardite come poche, oltre a me e a Carmela: Alberto, Federico, Nina, Beppe, Emilia, Cristina, Maura, Arianna.
Al cancello d’ingresso un uomo seduto su uno scanno sbraitava in siciliano stretto degli improperi contro l’amministrazione pubblica o contro di me. Lo zaino ha da subito creato uno spazio foresta pluviale sulla schiena, la mano si è stretta attorno al microfono registratore. La prima salita è stata ripida certo ma avevamo la foga dell’inizio e salutavamo tutte, la luce dei lampioni della strada illuminavano il percorso. Primo tornante, secondo tornante, terzo tornante, mutande sudate, gambe bagnate, piede a tipo zoccolo di animale.
Più salivamo e più la città si espandeva in un mare di luci e di nero. Attorno a noi buio. Quarto tornante, quinto tornante, sesto tornante, fari puntati dall’alto verso il basso, dovevi metterti la mano sugli occhi per capire dove stessi camminando oppure fregartene e inciampare. Chi siamo noi per evitare di cadere? Rombo di gruppi elettrogeni, tappi di birre che volavano ai pitstop sulla curva del tornante.
Settimo tornante, ottavo, nono, decimo. Un uomo dalla mole antonelliana e dal pancione ostinato ha intonato un canto a volume da inferno reggaeton. Come topoline guidate dal pifferaio, più lui cantava più noi salivamo. Aveva una bottiglietta di succo di frutta piena di caffè da cui sorseggiava per sfiatare qualsiasi cosa gli passasse per la testa. Lui e la sua famiglia decibel liberi ci ha accompagnato quasi per metà salita. Distrutte dalle urla e dal sudore, quando l’urlatore si è fermato l’abbiamo seminato.
La luce in faccia, ho visto la Madonna, no è il profilo di uno che a petto nudo si pettinava il pelo. Occhi sbarrati dalla fatica, lingua secca, Palermo sempre più ampia e bella, un manto stellato sdraiato sul golfo. Sempre più su, sempre più in alto. La schiena come un sacco da boxer preso a calci da chiunque, dolori che non conoscevo. Carmela fotografava, io registravo, il resto del gruppo chiacchierava e saliva con una capacità di resistenza e di sopportazione impeccabile. Per alcune era la prima volta, forse anche l’ultima. Alberto l’aveva già fatta, per Maura invece era la prima, direttamente da Madrid, non per l’acchianata ma in città per lavoro. Abbiamo parlato di tutto, quando la stanchezza si è trasformata in stizza abbiamo criticato gran parte del teatro isolano, io per la Sardegna, Alberto per la Sicilia. Santa Rosalia perdonaci.
Gruppi di ragazze e ragazzi, famiglie con bambine, anziane, un serpentone che saliva e scendeva. Siete quasi arrivate, ha gridato un ragazzino per poi mettersi a ridere. Ma quanto manca? Ho i liquidi del corpo romiti chissà dove.
Quando siamo arrivate su abbiamo trovato un paese dei balocchi: arrostitori, gente che vendeva santi, candele, dragonball, birra e immaginette. La lunga scalinata che arrivava alla grotta percorsa in ginocchio, non da noi. Il vescovo arringava la folla ancora una volta contro il Crack Paradise in cui si è trasformata la città. Due volte sono venuta a Palermo quest’anno e due volte il vescovo era incazzato per il crack. Risolviamo o cosa?
Ci siamo divise, come una mandria ubriaca, io e Maura siamo entrate nella grotta. Maura aveva la bottiglietta d’acqua piena. Scusa ma dove l’hai riempita? Alla fonte benedetta perché avevo troppa sete. Quindi quella è acqua santa? Si. Ok. Ma sei sicura sia potabile? È santa! Ok.
Ci avviciniamo ai volontari del santuario a chiedere informazioni, ci raccontano dei miracoli di Rosalia, chiediamo se l’acqua santa si possa bere. No, l’acqua è santa ma non così tanto da essere potabile. Ok. Maura sbianca, ne aveva bevuto quasi metà bottiglia. Maura, è acqua benedetta, che te frega. Ok.
Usciamo, troviamo il gruppo con occhio vitreo buttato in un angolo del santuario. Le nuche che sanno di pane bagnato, non che le abbia odorate, l’ho immaginato.
Federico chiede come mai Rosalia sia diventata santa, gli rispondiamo in coro che ha salvato la città dalla peste. Insiste. Si ma poi cosa ha fatto? Cioè era già morta quando ha salvato la città, da viva cosa ha fatto? Silenzio.
Poi prendo coraggio: Federico la lezione è chiara, Rosalia non ha fatto un bel niente in vita, è questa la strada che ci indica. Ci rompiamo la cazza dalla mattina alla sera cercando di riempire le giornate di cose da fare quando la strada della santità è lastricata di pacchia e di assenza di responsabilità. Silenzio.
Ci passa vicino l’urlatore antonelliano, porta i decibel a fare un giro sul sagrato.
Decidiamo di tornare in città, ma a piedi nessuna vuole osare, ci sono gli autobus. Orde di devote si stringono in falange oplitica per accaparrarsi i posti sui mezzi. Mi stringo a un gruppo di signore dal capello e trucco perfetto, dico che ho paura mi facciano del male salendo sull’autobus e che le ho scelte per difendermi. Mi accolgono, erano salite a piedi con il giovane parroco della loro parrocchia, un ragazzino mimetizzato tra loro di non più di 23 anni. Teresa la capo branco è un fiume in piena, mi racconta che deve andare a Roma e a Roma danno il gelato sfuso con le palline. Era sconvolta, due palline striminzite di gelato contro le porzioni da paterfamilia di Palermo. Arriva il nostro autobus, chiudo gli occhi e mi butto nella mischia, protetta dalle signore trovo pure posto a sedere. Sono le 3 del mattino, ho il corpo flagellato. Non abbiamo le forze nemmeno di salutarci come si deve. Dal Monte al reggaeton, 3 ore di registrazione, 3 ore di camminata. Santa Rosalia, accogli ed esaudisci tutti i nostri desideri, ce lo siamo meritate!
Finalone con morale
Santa Rosalia non aveva fatto apparentemente niente, è vero, in realtà però si era rifiutata di seguire una vita imposta dalla famiglia e dal costume dell’epoca. C’è una bella quota di coraggio nel decidere di assentarsi dalle responsabilità sociali. E mi pare che la lezione sia più grande di quanto immaginassimo perché bisogna essere ribelli come le sante per cambiare le cose, avere il coraggio di seguire la propria strada anche e soprattutto se sei la figlia di uno degli uomini più ricchi della Trinacria. Le sante e i santi sono state capaci di atti estremamente rivoluzionari per l’epoca in cui sono vissute.
Tutti i giorni ci sono notizie di morte, potenze economiche che sterminano popoli sotto gli occhi di tutte. Fa male l’impotenza, è terribile, ma è anche una condizione in cui possono fiorire grandi rivoluzioni interiori. Se cambia il dentro cambia necessariamente anche il fuori.
Facile vero? No, non lo è. Ma il privilegio di stare dalla parte fortunata del mondo in qualche modo va riscattato, lo dico a voi cucciole per ricordarlo anche a me, questa fortuna si deve tradurre in qualcosa di coraggioso, per noi stesse e per la società in cui viviamo. Spezziamo convenzioni, cambiamo le regole se queste ledono qualcuna, prendiamoci la responsabilità di essere felici e di brillare. Perché una società di persone che ascoltano il proprio cuore, seguono la loro anima, stanno su questa terra in coscienza e in libertà, sono più forti e gigantesche, possono cambiare le sorti del mondo intero.
E allora cucciole del mio cuore, vi auguro in queste settimane di trovare il coraggio di fare qualche passo sulla vostra nuova strada, qualsiasi essa sia. Per iniziare va bene anche infilarsi le scarpe. Vi amo, ci vediamo tra qualche settimana!
PS - Sui social posto foto dell’acchianata e di me e Carmela, seguitemi cucciole!