
Care cucciole del mio cuore,
eccomi tornata a voi, l’ultima Holyletter della Super Santa risale al 30 marzo, vi giuro che mi sono stupita più io di voi.
Cosa abbia fatto in queste settimane è un ammasso di ricordi vago e fumoso, la memoria non è più quella di una volta, e soprattutto, perché dovremmo ricordare?
La paura di dimenticare è un’ossessione condivisa. Comprensibile solo se si tratta di ingiustizie e genocidi, come quello ai danni del popolo palestinese da parte di Israele. Questo non lo dimenticheremo facilmente.
Ma negli ultimi giorni ho pensato che questa strategia che il mio corpo ha ingaggiato per permettermi di andare avanti mi piace e la rivendico.
Non ho bisogno di ricordare nulla se posso sentire. Ed è proprio così, tutto quello che ho sentito col cuore, col corpo, con la pelle e tutti gli altri organi, lo ricordo. Sono i ricordi visivi che vanno via. Voi direte, vai a farti una visita! Cucciole, fatevi gli affari vostri.
In questo mese che ci divide dall’ultima Holy è addirittura morto un Papa e ne hanno eletto un altro. Non parlerò della morte e dell’elezione del capo della più grande organizzazione spirituale di stampo patriarcale al mondo. Quella che ha deciso di escludere le donne dai ministeri di dio, quella che parla solo di dio come padre e come figlio, quella di Pietro e Paolo contro Maddalena e le altre. Quella che ha dimenticato il messaggio d’amore accecata com’è dalla sete di potere.
Pasqua a Scicli
In questo tempo che ci divide dall’ultima Holy c’è stata anche la Pasqua, diciamo che è stato un tempo simile alla fossa delle Marianne, Triangolo delle Bermuda, buco nero. È proprio capitato di tutto.
Quest’anno la settimana santa l’ho passata a Scicli, patrimonio dell’Unesco, un paese di 30000 abitanti vicino a Modica e Ragusa. Tutti nomi che mettono fame, tra cioccolati e sughi rosolati. Siamo a sud nella costa orientale della Sicilia. Scicli è famosa perché hanno girato la serie del Commissario Montalbano, di cui loro vanno fiere ma che non ho potuto approfondire perché una volta ne ho seguito una puntata e per poco non si bloccavano gli impulsi vitali per la lentezza.
Invece la vita a Scicli non è così lenta, sicuramente contemplativa, vista la posizione geografica strategica, abbracciata da due costoni di roccia calcarea, circondata da diversi colli sormontati da imponenti chiese e monasteri. Il barocco impera, la pietra riflette la luce e sembra di camminare sulla luna, se la luna fosse una pietra tonda e soda come il culo del Commissario Montalbano.
Per capire come arrivare a Scicli ci vuole la stessa abilità che Edipo ebbe nell’indovinare l’enigma della Sfinge, ma visto l’epilogo del principe di Corinto, protagonista di una delle più belle tragedie greche, ho evitato di ragionarci trovando un passaggio nel modo più imprevedibile possibile: chiedendo in giro.
Quindi sono arrivata a Scicli dall’aeroporto di Catania con un bel passaggio, dopo aver giocato a scopone scientifico con i tassisti e dopo diverse disperate ore di viaggio, quelle che in Sicilia come in Sardegna e in tutto il sud sono la carta speciale dei Pokemon.
Sono stata ospite di Giusy, ho alloggiato nel suo BnB, una donna dall’eccezionale carattere organizzativo e forte. Mi ha guidato nel paese e mi ha presentato un sacco di gente. Tra questi Tonino, il barista dell’epico bar del popolo.
Ma Scicli è famosa oltre che per il Commissario Montalbano anche e soprattutto per il Gioia, il Cristo Risorto, l’Uomu Vivu, lo cantava Vinicio Capossela nella canzone L’uomo vivo (Inno al gioia). U Gioia, lo chiamano i sciclitani, che lo attendono con una smania e una forza mai vista prima.
Tutta la settimana si respira trepidante attesa, nel passo delle Addolorate portate in processione che manco fossimo in Andalusia, retaggio spagnolo, ogni giorno una, ogni giorno una confraternita, ogni giorno una statua diversa.
“Sarà un casino”
“Non l’hai mai visto?”
“È la tua prima volta?”
Tonino, al bar del popolo, mi ha detto che solo il giorno di Pasqua si vendono, in tutta Scicli, 30000 camparini. Campari soda, quelli in bottiglietta. Per non contare quelli bevuti durante la settimana. Tutto questo perché è tradizione! Non sono riusciti a dirmi da quanto tempo esista questa tradizione, alcuni dicono post covid, altri da 15 anni. Non si sa, eppure, il rosso coccinella dello storico marchio italiano sembra rimarcare il sangue del figlio di dio.
Il bar del popolo era il mio centro base, ho conquistato la fiducia della vecchia guardia il giorno in cui al decimo camparino ero ancora in piedi viva e vegeta. Venerdì santo, via crucis e uscita per i sepolcri, ogni chiesa aveva allestito l’altare al Santissimo Sacramento e fino a notte si poteva pregare. Mi ha fatto da cicerone Andrea, il nipote di Tonino, in giro per le chiese, meglio se le visite fossero dispari. Andrea mi ha fatto conoscere degli angoli di Scicli molto belli, posti in cui la pietra si unisce alle case, terrazze da cui guardare le stelle. Chissà cos’hanno pensato le cucciole di Scicli nel vedere la Super Santa scortata da un ragazzo di 16 anni!
Andrea ci tiene al Gioia, lo attende con una luce negli occhi che è innamoramento, e come lui un sacco di altre persone. Lo sguardo si commuove, piangono le cucciole sciclitane nel ricordo e nell’attesa.
“Tu non puoi immaginare”
“E quando esce e gira e gira e gira, tu ti devi spostare”
Il profumo della violaciocca riempie i costoni e le case, i fiori crescono ovunque. Li ho toccati con mano quando mi sono arrampicata assieme a Emanuele, un amico di Giusy ed ex professore di educazione fisica in pensione. È diventato una guida di Scicli, porta le persone in giro per sentieri.
Assieme abbiamo fatto quello più difficile, ci siamo arrampicate sui costoni, in mezzo ai fichi d’india e all’artemisia, ai falchi che ci spiavano increduli. Ci siamo arrampicate come se fossimo due ragazzine, ci siamo raccontate il rapporto col divino, io ho anche pianto mentre comunicavo a uno sconosciuto che faceva il rosario quanto avessi sofferto in vita mia. Lui ha raccontato della sua conversione, del rapporto con dio. Bisogna permettere agli eventi di accadere. Com’è bella la vita quando ti mette di fronte a questo cielo e a queste nuvole, e sembra di non avere bisogno di niente come diceva Velimir Chlebnikov, il poeta dei poeti, il padrone del cosmo. Da quelle altezze ho sentito che qualcosa si spaccava dentro di me, forse era l’effetto del Gioia, si insinua nel costato per sedersi sul cuore. Abbiamo camminato fino a casa di signor Giuseppe, non c’era freddo ma tirava vento, le lacrime si sono asciugate e quando siamo arrivate abbiamo bevuto una grappa di piante selvatiche. Giuseppe conosceva il nome dei fiori e prima di andare via mi ha regalato una rosa Black Bacara. Non esistono rose nere in natura, la Black Bacara è una delle poche rose rosse che vira al nero. Il sangue del Gioia si rifletteva ovunque. Le gocce chiare della corona di spine, quello scuro e denso della ferita sul costato.
Finalmente è arrivato il sabato, il paese era un andirivieni di persone e turisti, troppi, spaesati, si muovevano in senso contrario alle cose e li riconosci subito perché sorridono e guardano altrove.
Il paese si preparava al rave, alle 24 ore di forza fisica.
Il volantino degli eventi, un altro quesito della sfinge o della Susy, per chi faceva la settimana enigmistica, diceva:
Sabato
Ore 23 – veglia pasquale: liturgia della luce, liturgia della parola, liturgia battesimale, liturgia eucaristica sul sagrato del santuario di Santa Maria la Nova.
Ore 24 – “a Resuscita” solenne esposizione del Cristo Risorto alla venerazione dei fedeli
Alle 22 mi sono piazzata attorno al sagrato di Santa Maria la Nova, Giusy con me. Man mano che il tempo passava la folla si accalcava, c’erano soprattutto giovanissime cucciole under 20. Molte, ovunque. Quando è iniziata la veglia le cucciole giovanissime non si tenevano più, mentre le priorisse leggevano momenti difficili in cui Mosè scappava col popolo eletto fuori dall’Egitto, le cucciole giovanissime discutevano se perdere o meno la verginità a 15 anni.
“Esulti il coro degli angeli, esulti l’assemblea celeste: un inno di gloria saluti il trionfo del Signore risorto” diceva il prete al microfono scassato che non riusciva a superare i decibel della gioventù che ha gridato “Stai zitto, coglione, fatelo uscire”.
Quando è arrivata la mezzanotte è stata un’esplosione, non ho mai visto una forza tale di devozione. Quando è arrivata la mezzanotte e la statua del Risorto si è affacciata dal portone i corpi hanno vibrato, il sangue ha fatto il giro dei cunicoli venosi e arteriosi come un fulmine in mezzo al mare. Non ho capito più niente, non ho sentito più niente, c’era fumo, urla, persone addosso.
Sono rientrata a casa alle tre, e quella notte ho sognato l’ex papa Ratzinger al posto del Cristo Risorto, con indosso un rossetto color borgogna. Il giorno dopo moriva l’altro papa (fate voi).
Alle otto in punto, come da programma, hanno sparato 21 colpi di cannone e io che ho il sonno leggero da maremmano di guardia al bestiame, mi sono svegliata al primo sparo. Sul sagrato della chiesa ho intervistato diverse persone, tra questi due portatori, fascia d’età 35 – 44, con le braccia grosse e abbronzate. I sorrisi più belli li ho visti alle feste devozionali. Mi hanno detto di entrare con loro e di mettermi nei banchi di fianco al Gioia. Così ho fatto, in piedi sulle panche mentre la chiesa si riempiva come il cortile di una fattoria, il suolo sacro che si preparava al calpestio profano.
In attesa dello stendardo in cammino da una delle altre chiese, il Gioia ha iniziato ha vorticare, i portatori stretti tra loro poggiavano le mani sui corpi altrui, era tutto un toccarsi. Sostenevano il torace, le spalle, i lombi, era una morsa, la stretta di un trasformer, un animale che prendeva una nuova forma. Le voci si alzavano, le grida si spandevano ovunque. Più girava e più si urlava. I due portatori ogni giro mi guardavano e sorridevano, anch’io sorridevo. Uno di loro ha strappato dei garofani che addobbavano la statua e me li ha messi in mano con una forza tale che pensavo mi volesse trascinare giù assieme a lui.
I portatori, le lunghe assi di legno, la struttura piena di garofani e la statua meravigliosa del Cristo Risorto sono diventati un unico animale che più girava e più si inselvatichiva, più girava e più gli spiriti della terra risalivano a ritroso le correnti sotterranee. I due portatori mi hanno detto di uscire fuori, di godermi l’uscita santa. Ho perso l’ingresso dello stendardo, il saluto in silenzio, l’inchino.
Nel sagrato la folla non sapeva come sistemarsi, ci spingevano verso le pareti, ci intimavano di spostarci perché l’uscita della bestia santa era imminente. Non capivo più niente, sentivo che anche in me le divinità della terra risalivano lungo le gambe fino al cuore. Avevo due colonne, forte come un bove. E quando è uscito, il boato ha riempito la via, non capivo più niente, mi sono radicata alle pietre della piazza, l’esile e vincente figlio di dio ha travolto l’aria. I raggi sulla schiena si giravano e rigiravano. Un uomo anziano è caduto, l’ho sollevato per un braccio.
“Non si faccia trascinare, si metta in piedi, subito!”
Mi sono ricordata quelle volte che la polizia ha caricato alle manifestazioni, sembrava Genova 2001, però lì nessuno mi avrebbe arrestata, nessuno violentata in caserma.
Una bambina bionda con gli occhiali mi è passata a fianco in lacrime, diceva che aveva paura e l’ho abbracciata.
“Vieni amore, scendiamo giù, sei da sola?”
No, era col padre o col fratello, ma lui aveva il volto tirato di chi si è preso paura ma non l’ho può dire.
“Abbraccia la bambina, per favore”
La gioia viene descritta così sul dizionario: Stato o motivo di viva, completa, incontenibile soddisfazione. In effetti è quella che ho provato quando mi sono resa conto di essere ancora viva dopo lo schianto col signore risorto. Sono andata dritta da Tonino, lasciando U Gioia volteggiare per le strade zeppe di devozione urlante. Mi sono bevuta tre campari a stella.
“Non salta più come una volta, prima era una gioia vera”
Prima erano i macellai a portarlo in giro, le persone più forti del paese, dicono che sembrava una moneta che saltava sulla mano di un bambino. A una certa è stato portato nella chiesa della Madonna del Carmine, lì sarebbe poi riuscito alle 17, per fare il giro su un locomotore nelle strade più periferiche del paese.
Pausa. Mi sono sdraiata per qualche ora, con le gambe in aria, a capire se fossi ancora tutta intera.
Il grande mazinga santo è ritornato alla chiesa del Carmine a ora tarda. Alle 22:30 è riuscito, vorace, maestoso, ha travolto chiunque trovasse sul cammino. Le urla accecavano i sensi, perdevi l’orientamento. Ho raccolto una donna anziana da una fioriera, quando il toro di dio ci è passato a fianco. Non è una festa per chi vuole solo guardare, questa è una festa di corpi, devi stare.
L’uscita serale l’ho seguita con Giusy, Roberta e un’altra loro amica. Gli attacchi di panico non si contavano tanto era la folla in giro per le strade (non noi per fortuna), sono momenti in cui bisogna praticare la sospensione di sé, forse anche del sé.
I fuochi d’artificio hanno illuminato il cielo. La strada della cava piena di fumo, un fiume di fumo. Fuochi che esplodevano in tutte le direzioni. In lontananza il figlio di dio ammirava le luci nel cielo immobile per la prima volta, i raggi galattici attaccati alla schiena si saranno stancati? Io sicuramente si.
Nella chiesa di Santa Maria la Nova, sulle panche c’ero io e la famiglia di un tale che era identico a Marinelli che interpreta il duce nella serie M – il figlio del secolo.
“Cristian, Cristian, resta sveglio, sveglia!”
Gridava al bambino settenne che dormiva appoggiato al banco assieme a me. Ma facci riposare cretino, che fra un po’ sarà di nuovo qui. Quando è entrato in chiesa le urla hanno trionfato. Questa è stata la prima volta che io invece non ho urlato. Ha vorticato, si è sospeso su se stesso, avevo gli occhi brucianti, l’ho visto o forse non l’ho visto. Quando si è fermato, due portatori sono saliti a prendere i garofani e a lanciarli sulla folla, bianchi e rossi, la folla si spingeva per prenderli. Mi ha ricordato la Bruna a Matera, quando il carro viene sbranato dal popolo. Sono tornata a casa che erano le due e mezza del mattino, claudicante, con le mani piene di garofani e la schiena morsa dai cani. Quella notte non ho sognato niente.
«Il trono celeste è pronto, pronti e agli ordini sono i portatori,
la sala è allestita, la mensa apparecchiata,
l'eterna dimora è addobbata, i forzieri aperti.
In altre parole, è preparato per te dai secoli eterni
il regno dei cieli».
Grazie Scicli, Grazie Giusy, Grazie Andrea, Grazie Tonino, Grazie Bar del Popolo!
Grazie Uomo Vivo!
Non vediamo l’ora ci sia una donna al tuo posto.
Mi è piaciuto un sacco questo tuo ritorno 😍