Ame, qui sopra la Holy registrata per chi non avesse voglia di leggere l’emerita cazza santa!
Sotto la foto invece la Holy normale. 1 2 3 via!
Carissime cucciole del mio cuore,
sono passate diverse settimane dall’ultima Holyletter, la Super Santa vi ha pensato tanto, avrei voluto scrivervi ma tra le troppe cose da fare e, sarò sincera con voi, momenti di crisi nei confronti di questa Holyletter, ha vinto il boicottaggio.
Credo fermamente al progetto megagalattico e crossmediale che la Super Santa ha messo in piedi, a momenti però mi lascio conquistare dal senso di niente. Forse anche a causa di un incontro poco felice che ho avuto questa estate con una coach business che chiedeva alla Holyletter di diventare qualcosa che non vuole essere. Mi sono lasciata demotivare, incredibile da una coach!
State attente a chi incontrate, raccontiamo i nostri sogni ma ricordiamo che solo noi conosciamo il fuoco che ci arde dentro, non permettiamo a nessuna di disunirci.
Per questo dico qui, pubblicamente, che riprenderò a pubblicare una Holyletter ogni due settimane. Per le sante, per voi e per me, per il 5x1000 alla Super Santa tra qualche anno. Tiè.
Il progetto va avanti, studio e scrivo quasi tutti i giorni. Ora spiego che la Super Santa è il volto e la voce di un progetto di storytelling culturale, un ecosistema narrativo, che reinventa la narrazione sul culto dei santi attraverso un approccio artistico crossmediale, che fonde arte, spiritualità e divulgazione.
Sono stata selezionata per andare a esporre il progetto della Super Santa al Torino Film Industry, il mercato dell’audiovisivo. Ho presentato un progetto di docuserie in cui racconto il culto dei santi in giro per l’Italia. È sempre meraviglioso constatare come le risposte che cerchiamo non arrivino quasi mai da dove ci aspettiamo. Così mentre chiacchieravo dopo il pitch (si chiamano così le presentazioni nel cinema) sono venuta a conoscenza di festività religiose nel nord del Piemonte e ho scoperto che esiste un corso sulla sindone. Si, la sindone, il lenzuolo di Gesù. Queste informazioni me le ha passate un giovane produttore tramite il padre, il signor Marzio, che spero di conoscere presto. Che belle le famose vie del signore!
Ricevo spesso foto e video di chiese in cui capitate quasi per caso, immagini di santi e sante, processioni che vi sfilano davanti. Continuate, mi fanno molto piacere!
La Madonna di Bonaria – Marceddì
L’andata
Il Natale si avvicina, ma chi sono io per seguire questi dannati calendari editoriali soggetti alle festività comandate? Nessuno, quindi non lo seguirò!
Almeno qui, perché dal vivo due cose le dirò. Dal vivo quando e dove? Il 15 dicembre alle 18:00 a Cagliari, in una località segreta che sveleremo solo a chi prenoterà. Questa è l’ultima replica dell’anno e per l’occasione vi regalo un gadget super santo. Non mancate (locandina con le info più giù, alla fine della Holy)
Visto che non parleremo di Natale e che sono una Super Santa Strega Estiva, torneremo indietro di diversi mesi per buttarci tra le braccia agostane della Madonna di Bonaria che si festeggia l’ultima domenica di agosto a Marceddì. Vi ricordate le temperature del periodo? Bene!
Marceddì è una frazione di Terralba, villaggio pescatori di circa 140 abitanti. Sembra la location perfetta per un western di mare. A cavallo tra le colture di mais, gli allevamenti di vacche e la laguna, Marceddì è protetto dalla Madonna di Bonaria, patrona dei naviganti.
Sono finita a Marceddì con la mia amica Ale (con me sia a Palermo che a Copertino) a un orario pomeridiano ancora molto caldo, abbiamo parcheggiato vicino alle giostre e abbiamo fatto l’autostop per raggiungere la chiesa di Terralba. La prima e unica macchina che si è fermata era una nuvola di peli di cane e della gente strafatta di birra e marjuana. Mentre salivamo sul pelusche cromato quello seduto dietro scattava imparanoiato fuori dalla macchina. Brutto prendere droga al pomeriggio.
La coppia nei sedili davanti era originaria di Terralba ma da tanto fuori dall’isola, ridevano felici all’idea che fossimo lì per la Madonna e non per la droga, credo.
Quando siamo arrivate in paese i motorini sfrecciavano ovunque, frotte di persone di tutte le età sopraggiungevano nella piazza della chiesa. Una barca attaccata a un piccolo trattore era stata parcheggiata poco distante dall’ingresso, era il cocchio speciale della Madonna del mare.
Bonaria sul cocchio, le confraternite dietro, il prete e l’altoparlante, la gente fedelissima ma incarognita componevano le prime file. Siamo partite che ancora c’era il sole, abbiamo attraversato il paese che profumava di menta, rosmarino, elicriso e mirto. L’usanza di infiorare le strade è la mia preferita, gli oli essenziali delle aromatiche che si attaccano ai nasi delle fedeli.
A pochi metri dall’uscita del paese la punta del cocchio di Maria si è incastrata su un addobbo luminaria che portava la scritta W MARIA e lì è rimasto. Non c’era tempo per fermarsi, eravamo già in ritardo.
Al confine tra il paese e la campagna, ci siamo fermate (cioè non noi, le consorelle) a sistemare la statua che era stata rubata qualche anno fa e ritrovata malandata qualche mese prima. Una storia difficile questa, non so altro, non voglio dire altro.
Il ritardo accumulato era diventato insostenibile, non per noi sia chiaro, credo per la gente che aspettava a Marceddì. Così quella che era una placida camminata si è di colpo trasformata nella maratona di New York. Ave Maria piena di grazia il signore è con te, ma i nostri polpacci mi dispiace signore non sono con nessuno, diventati ormai di ferro era difficile pure parlare (sono riuscita a mangiarmi due pizzette al taglio senza glutine).
Le strade che da Terralba portano a Marceddì sono tutte uguali, delle lunghe strisce d’asfalto che separano i campi di mais, che attraversano le aziende di vacche dei texani veneti. I veneti in questa parte della Sardegna arrivarono con Mussolini, ora sono sardo veneti, bestemmiano ancora ma con bilinguismo.
Il sole è sceso davanti ai nostri occhi, era bella la Regina del mare in controluce di fuoco. Un’estasi di luce e di resistenza fisica. A metà percorso mi sono arrivate le mestruazioni. È scesa la sera, la strada era buia, la campagna attorno un frinire di cicale e di grilli. Ogni tanto appariva un pitstop fuori dalle case sparse tra le colture. Una caramella, una bottiglia d’acqua e poi di nuovo in processione accelerata. Quanto manca? Siamo solo a metà, ancora un’ora e mezza.
Abbiamo continuato a camminare una con le mutande zuppe di sangue e l’altra con lo stomaco che si autodigeriva, con la stessa tenacia che dovevano avere a Sparta. L’unico cedimento quando abbiamo cercato di superare la falange oplitica che difendeva le prime linee, quelle vicino al prete. La cattiveria e la gelosia con cui vengono difese le prime file è un’esperienza simile al bullismo, al mobbing. Ma l’emoroissa e l’affamata hanno tenuto duro, alto il loro vessillo di cagacazza di processioni. Poi siamo retrocesse, Ale ha perso gli auricolari e siamo tornate indietro, le ultime file se la passavano alla grande, a raccontarsi ricette di cucina, il gruppo di arzille signore, e di viaggi, il gruppo di giovani. Bello, grazie, ci siamo trovate bene ma siamo qui per conquistare la Regina del mare e quindi con un colpo di reni degno di una fede incrollabile che non abbiamo, siamo ritornate in cima alla fila, diciamo quarta o quinta fila, per essere oneste.
E finalmente abbiamo sentito il Reggeaton insozzare l’aria salmastra, le luci delle giostre piroettare nel buio e nella polvere. Tutto si è interrotto appena siamo entrate nel viale con le bancarelle, e più avanzavamo e più il rombo dei motorini si alzava sovrano. Parcheggiati su due file, come una lunga collana di ruote e marmittone, due ali di benzina e inquinamento, la scorta sonora della Madonna di Bonaria. La sfilata in mezzo ai motorini è stata lunga, non si respirava per il fumo delle ruote che friggevano sull’asfalto e il rumore assordante dei motori. Questo misto di fumi di scappamento e delle carni e pesci arrosto ti facevano perdere i sensi, entravi dentro di te a vagare rintontita e eccitata. L’udito leso, l’olfatto sovraccarico, la vista schiaffeggiata. Ci siamo buttate stracche (stanche in sardo nostro) dietro la chiesa, davanti al ponte chiuso, a ricordarci la luce, la fede, la grazia e il cul di sac in cui potevamo morire.
W LA MADONNA DI BONARIA
L’attesa
Questo qua sotto invece è un racconto che avevo fatto della stessa festa ma dal punto di vista di chi attendeva la Madonna a Marceddì, nel 2023 arrivò ben oltre l’orario del 2024 (tra l’altro anniversario centenario, ho dimenticato di dirlo prima).
Quindi ecco a voi l’altro lato della festa:
Un’unica strada asfaltata attraversa il paese, arriva fino al ponte che supera lo stagno grande. Le bancarelle di dolciumi, quelle di campanacci e coltelli, di libri e gioielli, si animano ogni ora che passa. Si alzano i fumi al cielo, le grigliate di carne scintillano, il sole ancora alto brucia i sorrisi e i denti, e questi brillano come diamanti, come i fari di porti immaginari.
Il paese è piccolo, come la chiesa, una manciata di pietre raccolte in protezione della croce. Ci conterrà?
Sorridono i vecchi seduti tra i banchi, l’attesa rende frivoli, si rincorrono i bambini tra la polvere davanti alle barche, che sembrano di marzapane, di caramella. Partiranno alle sette dalla chiesa grande, non arriveranno prima delle dieci, dice chi la festa la conosce, chi è nato tra la laguna e il mare.
Dello stesso colore dell’acqua che l’ha trasportata è il suo altarino, un azzurro bambino, piccolino, coperto di pizzo. E dietro, un baldacchino dorato, per la Regina del Cielo, la madre di Dio.
La storia racconta che una cassa di legno venne scaraventata fuori dalla barca che la trasportava, infuriava la tempesta, ma la pesante cassa non affondò e i marinai superstiti, stupiti da tale prodigio, la seguirono tra i marosi. La cassa approdò alle pendici del colle di Bonaria, a Cagliari, e una volta aperta mostrò alle genti e ai naviganti increduli, il suo prezioso contenuto: una statua della Madonna con bambino e una candela accesa. Era il 1923 quando i pescatori del borgo di Marceddì decisero di chiedere protezione alla Madonna di Bonaria, iniziarono a tributarle offerte, voti, devozione, decisero di donarle il cuore, strapparselo dal petto e lanciarlo tra la polvere e la schiuma del mare.
La candela dicono che rimanga accesa per tutta la processione, che ci sia o non ci sia vento. È un atto di fede, un atto d’amore. L’attesa della Madre Santa si potrebbe confezionare in pacchi da spedire, in sacchi di iuta da sistemare, talmente è densa, concreta, maneggiabile con mano.
Sarebbe già dovuta arrivare, sono le dieci e dicono che si dovrebbe intravedere il corteo. Ma non si vede nulla, la folla si accalca nella piazza grande, tra le strade, un fiume umano che serpeggia affamato.
Un’ora dopo, la schiera di motori si fa largo tra la gente, sono centinaia, sfilano una dietro l’altra, a coppie di due, addobbate di fiori e nastri colorati come i carri di una volta, come i buoi che trasportano i santi. Sono grandi, piccole, sono cavalcate in coppia o da una sola cavaliera. La potente torma di motociclette riempie la strada laterale alla chiesa, si dispongono sui lati, si aprono come le ali di un angelo sull’asfalto lavico.
I motori impazzano, le marmitte squillano come trombe, i sorrisi invadono l’aria assieme ai fumi di scappamento, degli arrosti di pesce e di salsiccia.
E poi arriva lei, lenta, in uno sciabordio di preghiera, una nenia. La testolina incoronata si erge tra la folla, il cocchio fende la polvere, la nave su ruote avanza avendo premura del peso di Dio.
Così, arriva la Regina del Cielo, tra le tracce di un culto pagano, come in mezzo alle strade polverose della sua Nazareth, vestita di broccati scuri e fili d’oro.
L’accompagna il popolo, proteggendola dal mondo, da tutto quel rumore. E nello stesso momento in cui la Signora venuta dal mare si fermava sull’altare, un giovane prete intimorito sgattaiolava fuori dalla chiesa. Tredici chilometri a piedi, tredici chilometri di asfalto rovente. I motori friggono all’impazzata, i canti si alzano assieme ai fumi, e si percepisce il rumore del tempo che si spezza, i regni si riflettono in uno specchio unico, come in cielo così in terra. E tra la folla accalcata a baciare la statua della Regina dei Santi può capitare, a volte, in fila, tra le donne coi rosari, i bambini tenuti in braccio, gli uomini accorati, di vedere Dio.
O così almeno mi è sembrato.
LA SUPER SANTA IN HOLY LESSON CHRISTMAS EDITION
di e con Vanessa Aroff Podda
Domenica 15 dicembre 2024 alle ore 18:00
Cagliari – Località su prenotazione
La Holy Lesson è uno spettacolo ironico e poetico in cui il personaggio della Super Santa parla di sacro e profano, di sante e autoscontri, di lotterie e processioni. La Super Santa indaga, attraverso l’atto artistico, l’inesauribile patrimonio religioso e tradizionale del nostro paese (con un focus sul Natale in imminente arrivo).
Che cos’è una Holy Lesson? Uno spettacolo? Una Lezione? Un test per verificare i livelli di santità nel sangue? Tutto questo e molto di più!
Biglietto 10€ + Gadget Super Santo (se arriva in tempo)
Info e prenotazioni tel - 3483301472 / email - billytanz@gmail.com
Cucciole vi chiedo di aiutarmi a condividere il più possibile.
Vi amo, ci vediamo domenica o in giro o sui social o tra due domeniche qui.
Cara, carissima, volevo dirti che oggi, leggendo i tuoi racconti, ho pianto. C'è una tale bellezza in quello che scrivi, ti adoro, non mollare! Chiedi alla Madonna e preparati a ricevere l'inaspettato. Perché non ne fai un libro? Qualsiasi cosa tu ne faccia, sarà bellissimo. Un abbraccio forte forte
i denti che brillano "come fari di porti immaginari"... la Holy Poesia. <3