Cucciole del mio cuore,
bentrovate o bentornate alla Holyletter de La Super Santa, che ancora non si è ripresa dai fasti catanesi dedicati alla sua patrona Sant’Agata.
Una festa di queste proporzioni non l’avevo mai vista, ho percorso più di 60 km in quattro giorni, ho parlato con una quantità di gente che non saprei contare, ho perso l’occhio ovunque si voltasse a guardare. Mi sono sentita piccola come una monetina smarrita per strada e contemporaneamente invincibile come una tigre del bengala.
E come una bestia selvatica si muoveva la Santa lungo le vie della città, un brivido di sgomento a saperla in libertà e un’attrazione funebre, un istinto di morte, mi spingeva a cercarla, a starle vicino, a rimanere a fissarla. Ho accettato di sentirmi stringere tra la folla per vederla, mi sono mortificata le gambe, i piedi, la schiena per rivederla nelle ore tarde della notte o del mattino. Ho atteso con pazienza che non ho, l’ho aspettata ai lati della strada, tra i fumi della carne arrosto, degli oli per le fritture, tra i bracieri e le preghiere.
Sono stata, senza chiedermi se andasse bene o male quell’attesa.
Sono stata, come stanno tutte le creature del mondo, senza chiedersi quale senso abbiano e perché il ranuncolo sia ranuncolo e le clematidi delle specie rampicanti.
Sono stata, come una che ha un senso nello stare lì dove si trova, ad ammirare l’attesa stessa e quando l’imponente fercolo ha fatto capolino per la strada, illuminare lo stare, di gioia pura.
Sono stata, nella gioia che scompare come un lampo, che basta un niente per non esserci più niente.
Dove sei? Perché non mi è bastato? Correre a cercare la fonte del piacere, abbeverarsi con lo sguardo che precipita nella distesa di garofani rosa, il primo giorno, e bianchi il secondo.
Sant’Agata aveva 20 anni quando venne martirizzata per mano del governatore romano Quinziano nel 251 d.C. Dicono che l’avrebbe voluta in sposa ma lei lo rifiutò perché sposa di Cristo e per questo la torturò. Le vennero strappate le tette con delle tenaglie, venne lasciata in carcere ferita, buttata sui carboni ardenti mischiati a cocci di vetro. Mentre la ragazza veniva rotolata sul braciere un boato di fuoco scosse la città, la terra tremò e il supplizio interrotto. La folla spaventata pensò al castigo del dio dei cristiani e corse da Quinziano per chiedere che interrompesse il martirio. Il governatore scappò e la ragazza morì poco dopo.
Una cosa è certa, più giovane è la donna che muore e più violenta sarà la festa in suo onore! Questo ho potuto costatare nel mio pellegrinare.
La festa per Sant’Agata inizia il 3 febbraio con le candelore che danzano per rendere omaggio al sindaco e si prosegue con la processione dell’offerta della cera.
La sera in piazza Duomo si può assistere a un prodigioso spettacolo pirotecnico.
Io l’ho seguito davanti al porto, in una zona così gremita di gente che è stato l’unico momento in cui mi è balenata una parvenza di terrore, ma forse anche e soprattutto a causa di un tizio che ci costringeva ad ascoltare neomelodico a volume sostenuto.
Qui ho visto una donna acciuffare un pincher nero che si dava alla fuga, come se questo fosse un’orata. La donna Sanpei un’eroina.
I fuochi sono durati dieci minuti ma di un’intensità tale che potrei paragonarli a cento orgasmi, tutti assieme. Meglio cento orgasmi in dieci minuti o uno lungo un’ora? Signora mia, son gusti, io ho apprezzato.
Nell’ingenuità del bukkake pirotecnico ho dimenticato di coprirmi la testa e mentre a passo di pantera mi facevo largo tra folle inferocite di auto e motorini e passeggini e mangiatrici di panini, mi sono resa conto di avere i capelli che sapevano di polvere da sparo e quindi di uovo marcio.
La festa continua il 4 febbraio, aprono la cattedrale alle quattro del mattino per il rosario e proseguono fino alla messa dell’aurora. La Santa uscirà in processione verso le sette, quando il busto e la cassa contenente le sue reliquie e il velo verrà posizionata sul fercolo, chiamato la Vara.
Un baldacchino di qualche quintale su cui, oltre allo spazio per il busto prezioso di Agata, stanno il capo Vara, il responsabile del fercolo, colui che guiderà le manovre, altri devoti incaricati di mettere le candele offerte dalle devote lungo il cammino, il monsignore e uno che è esperto nelle manovre tecniche del fercolo (è trainato a mano da cento devote che stringono due lunghe corde con alle estremità tre grosse maniglie).
Il capo Vara è un uomo molto bello, io lanciavo un occhio alla Santa e uno a Claudio (si chiama così, siamo anche coetanee). Mi sono sognata un po’ capo Vara e un po’ amante del capo Vara, non lo nego. Catania è molto sanguigna, questi pensieri ti vengono spontanei, sono pensieri benedetti dalla ragazza Santa.
La processione del 4 febbraio si snoda lungo le vecchie mura della città, un percorso immenso che vedrà la Santa fare ritorno in cattedrale giusta giusta per la messa delle dieci e mezza del mattino. Quindi sta in giro la bellezza di quindici ore.
Io l’ho vista in piazza Iolanda subito dopo pranzo e poi l’ho attesa vicino a casa, in via Plebiscito intorno alle tre del mattino. A quell’ora la folla era ancora tanta ma potevo muovermi, potevo osservarla, camminarle a fianco, scortarla. Solo che a una certa il freddo è diventato un nemico più grosso dell’ateismo e sono dovuta tornare a casa. L’ho aspettata avvolta in una coperta nera di lana, affacciata al balcone, ha sfilato sotto casa alle sei del mattino, elegante come una regina, bestia feroce, profumo di gelsomino, sposa di tutte e di nessuna.
E ho pensato che la devozione popolare tanto odiata dalla popolazione per bene, quella che si lamenta del folklore, che non era lì alle sei del mattino ad aspettare la ragazza con le tette rotte, le tette sante, quella devozione è il cuore della festa, niente andrebbe avanti senza di lei, nulla esisterebbe. La fede, la festa, la bellezza. Nemmeno i b&b che ospitano i turisti o i voli di Ryanair.
Allora perché vi lamentate tanto? Perché non vi va bene che i devoti coi vestiti bianchi, il cappello nero, il guanto bianco e le coccarde rosso e verde, si trascinino ceri di ottanta chili? Perché non è dignitoso? Lo sono di più il corpo e il sangue di Cristo che ci mangiamo durante la liturgia?
La religione cattolica è una religione fisica, di corpi, ed è attraverso il corpo che sentiamo dio, che entriamo in contatto con qualcosa di più grande, non mi frega se sia una sensazione collettiva o esistenza vera del sopranaturale. Io la Santa l’ho sentita nel corpo, quando uno dei tanti che ho intervistato ha ribadito che loro in processione non portano una statua ma il corpo di Sant’Agata.
Portano il corpo, ossa sparse, il cranio, il velo, diversi organi. C’è Agata lì sopra, col dolore che ha patito nel corpo non nello spirito. Sta tutta lì la differenza tra sentire e non sentire dio.
Se il corpo non è scosso da un fremito, se non si porta a uno stato nuovo, non per forza estremo, non si arriva da nessuna parte. Questo i devoti lo sanno, questo la devozione popolare ci insegna.
La festa continua il 5 febbraio, con il sommo pontificale delle 10.30 in cattedrale, le messe si susseguono una dietro l’altra fino alla seconda uscita del fercolo con la Santa intorno alle 17.30.
La processione del 5 segue un itinerario interno, lungo la via etnea, un percorso apparentemente più breve perché tornerà in cattedrale alle 13.00 del giorno dopo. Mentre io sbarcavo a Fiumicino per tornare in Sardegna, Sant’Agata tornava a casa.
Sotto casa mia c’era un barbiere aperto h24, si è fermato giusto quando è passata la Santa.
Un signore mi ha detto che la festa non era più quella di una volta a causa della gente dei quartieri popolari che si riversano in città come mandrie indomite.
Un altro mi spiegava che la festa non era più quella di una volta perché era indecoroso che le donne trainassero il fercolo per via del movimento oscillatorio di bacino che fanno i devoti in processione.
Una signora mi ha detto di stare attenta che a lei alla sagra della ricotta le avevano rubato il portafoglio.
Ho visto persone vivere in macchina, una bambina bere il brodo nel sedile del passeggero mentre il fratellino giocava con una palla nel sedile posteriore.
Ho visto un bambino prendere a pugni un palloncino di un gattino unicorno come fosse un boxer.
A Catania si dice arancino e a Palermo arancina, a me va bene uguale.
I portatori di ceri non sono riuscita a riprenderli ma erano una marea e urlavano le loro preghiere al cielo come lupi feriti mentre mangiavo dei ceci secchi.
Solo per una cosa mi dispiaccio ancora tanto, che le ragazze Sante come Agata siano sempre e solo scortate da numerosi gruppi di uomini.
Cucciole del mio cuore, ho scritto tanto, mi dispiace ma c’era anche tanto da dire.
Ci vediamo domenica prossima, portate il corpo a sentire con più forza, portatelo a un estremo, o semplicemente da un’altra parte. Portatelo altrove.
Vi voglio bene.